Paola Scialpi. Il tempo come opera d’arte

di Antonio Errico
domenica 15 Giugno 2025
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

E’ come mettersi su una soglia tra presente e passato e guardare le scene essenziali di un’esistenza che scorrono una dopo l’altra: nitide, ordinate. Leggere.  È come ritrovare nelle forme dell’arte il lievito semantico di ogni stagione, dei giorni, delle ore. E’ come una madeleine proustiana, come un’epifania inaspettata. Non un resoconto, ma una sintesi sostanziale; non un album di foto, ma un movimento di teatro. Senza nostalgia: con consapevolezza. Forse l’arte serve a questo. Probabilmente serve a questo: a riguardarsi un po’ a distanza, per poter osservare meglio, per poter capire meglio quello che è stato e a volte anche il motivo di quello che non è stato. Per riconoscere l’origine delle sensazioni, delle emozioni, delle idee. Per poter attribuire una ragione alle passioni e una passione ad ogni ragione. Questo mi è sembrato il senso delle opere presentate nel catalogo per Paola Scialpi affettuosamente e rigorosamente curato per I quaderni del bardo da Lucio Galante e Maurizio Nocera, con il progetto e la cura grafica di Mauro Marino.

C’è un’esperienza dell’esistere dietro ogni segno, dentro ogni segno che traccia Paola Scialpi. C’è sempre una domanda e, qualche volta, anche una risposta. Solo qualche volta, però. Perché la funzione dell’arte consiste nell’interrogare, prima di tutto colui che ne è il facitore. Poi anche colui che guarda e vorrebbe penetrare in quell’universo che quell’arte spalanca, in quell’universo di memoria. Perché questo catalogo dimostra che tutto il lavoro di Paola Scialpi trova la sua radice profonda, esplicita o implicita,  nel terreno della memoria, che però non è mai la riproposta di una condizione ma è la ricomposizione, la rielaborazione, la risignificazione di condizioni, esperienze, occasioni, di pensieri, orizzonti di senso, espressioni di un sentimento proveniente dal ricordo ma sempre nuovo o rinnovato. Sempre vibrante. Ma la memoria è annodata al tempo. La memoria è il tempo. Allora, del tempo dicono le opere di Paola Scialpi. Del tempo pensato e vissuto e poi trasformato in simbolo, metafora, disegno che ne traccia il divenire, il fluttuare incessante, il battito, la delimitazione e lo sconfinamento nella dimensione del sogno, dell’immaginazione. Lo stupore che si prova nei confronti del tempo, Paola Scialpi lo traduce con l’esilità delle figure, con la loro sospensione in uno spazio indefinito, non identificabile. Ma nel suo pensiero quello spazio è definito, identificato, probabilmente. A noi, invece, vuole consegnare proprio quella sospensione, quell’oscillazione tra condizioni reali e immaginarie, quelle figure di donna, per esempio, che si alzano verso uno spazio che ha cancellato i confini, con un movimento sinuoso orientato verso l’atemporalità. Si librano. Si proiettano in una dimensione di lontananza che integra le sfere della materialità e dell’evanescenza, della presenza discreta e dell’assenza che custodisce comunque una presenza dell’identità. Mentre colui che guarda quelle figure, lì, sulla soglia, avverte la sensazione di appartenere alla razza montaliana di chi rimane a terra.  

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