Cambiano i luoghi, e le storie di quei luoghi. Il Salento cambia la sua fisionomia, il modo di confrontarsi con se stesso, con l’Europa, con il Mediterraneo. Cambiano i suoi paesi, le sue città, le esistenze di coloro che abitano i paesi e le città, di coloro che vi giungono, di coloro che se ne vanno. Cambiano le generazioni, le esigenze, le urgenze, le visioni, i riti, i miti. Cambiano i riferimenti e le categorie di interpretazione dei fatti e dei fenomeni. Cambiano i simboli, le metafore, le rappresentazioni. Allora, la letteratura di questa terra potrà e dovrà raccontare tutto questo, tutta questa mutazione. Ma con quale lingua raccontarlo non si è capito ancora. Le mutazioni – tumultuose- si sono portate dietro e dentro nuovi linguaggi, che poesia e narrativa non hanno potuto ancora elaborare. La letteratura non può, e quindi non deve, raccontare che cosa accade, in che modo accade. Deve, invece, sviluppare un linguaggio nuovo, diverso, “altro”, inedito, ulteriore, che riesca ad essere trasversale, ad attraversare elementi tematici e semantici complessi, complicati, composti da grovigli di sensi. Ci si potrebbe chiedere, per esempio, se il linguaggio ulteriore non possa essere quello dell’origine, il dialetto. Ma il Novecento italiano ha impiegato il dialetto in tutte le maniere in cui si può impiegare: da quella di Giuseppe De Dominicis, a quello di Pietro Gatti, per fermarsi al contesto territoriale, a quella di Fabrizio De André che con Creuza de ma, in genovese antico, scrive il più bel poema in lingua dialettale che in quel secolo sia stato scritto. Ci si potrebbe domandare, per esempio, se il linguaggio ulteriore non possa semplicemente essere l’italiano affrancato dalla pozzanghera dei luoghi comuni. Ma il Novecento ha sottoposto l’italiano ad ogni tensione linguistica, ad ogni tentazione formale. Forse sarà necessario scardinare logiche, grammatiche, sintassi conosciute. Disintegrare il lessico e poi rigenerarlo. Inventare una diversa combinazione di tecniche, repertori, registri, musicalità, modulazioni stilistiche. Assemblare citazioni, allusioni, plagi, parodie, contaminazioni. Azzardare metafore. Provocare un capogiro di immagini attraverso un linguaggio vertiginoso, vorticoso, attraverso una parola ad un tempo sofisticata e viscerale, attraverso un’espressione puramente soggettiva, una lingua di dentro profonda ed ancestrale, traduzione di un processo di pensiero che scarta dai percorsi lineari e s’immerge, sprofonda, in una dimensione temporale deformata, in un oltre e un altrove in cui reale ed irreale, ragione ed emozione, sono senza differenza, in cui il senso logico e cronologico è completamente disarticolato e assorbito in un flusso di sensazioni consce ed inconsce, in una mescolanza di verosimile e inverosimile, concretezza ed astrazione, memoria del linguaggio e reinvenzione del linguaggio attraverso la memoria.
Forse sarà necessario fare questo. Forse molto più di questo, altro da questo. Quando e come si riuscirà a cominciare non si può sapere. Chi sarà a cominciare non si può sapere.