La pittura di Antonio Chiarello, il mare e l’approssimazione d’infinito

di Antonio Errico
giovedì 1 Maggio 2025
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

In questo paesaggio si muovono i colori di Antonio Chiarello, si frammischiano  a quelli della natura

In principio è il mare: quello che Charles Baudelaire chiamava “un infini dimunutif”, una approssimazione d’infinito. Non potendo rappresentare l’infinito, allora si rappresenta la sua metafora, la sua approssimazione, la condizione che conduce il pensiero alla soglia dell’idea di sconfinatezza, di movimento incessante. In principio è il mare, come movente dell’immaginazione, come dimensione della collocazione dell’umano tra la finitudine e l’infinito. Il mare e basta. Tutto quello che compare nel paesaggio si confronta con il mare. Una torre, per esempio. Esiste perché esiste il mare, per scrutarlo. Un faro, per esempio. Non esisterebbe senza il bisogno dell’indicazione al navigante di un punto per l’approdo. Il mare è, da sempre, l’elemento predominante nella pittura di Antonio Chiarello. Il mare e la torre. L’infinito e il finito. L’eterno e il transeunte.  La torre è lì, a scrutare il mare e a difendere la terraferma, la casa, l’affetto. Figura che non ha ombra, schiacciata dal sole, dalla luce. Ecco: la luce della pittura di Chiarello. Sfolgorante. Illimitata. Dirompente.  Assoluta. Raffigurazione dell’universale. Sembra che con il mare e con la luce Antonio Chiarello voglia sfidare il limite, il circoscritto, avventurarsi nell’ignoto dell’immaginazione, sfondare i perimetri, giungere fino all’orizzonte irraggiungibile. La luce come disvelamento e cancellazione di qualsiasi mistero, come simbolo della creazione e celebrazione del creato. Il mare,  la luce, i riverberi, l’alba, il tramonto. Una luna. Figurazioni del sempre esistente. La torre: la pietra. Sottoposta all’azzurrità o alla nuvolaglia. Figurazione di quello che passa, si sgretola, si trasforma in rovina. Che viene salvato dalla memoria, finché esiste memoria come possibilità di salvezza. Finché la Storia è in grado di ricordare. Poi anche la memoria si dissolve e rimane non altro che un’arte a testimoniare che da lì, da quella torre, la storia è passata. Da quello strapiombo, dove la terra finisce e il mare comincia, dove il mare pare finire e la terra comincia. In questo paesaggio si muovono i colori di Antonio Chiarello, si frammischiano  a quelli della natura: non li riproducono; li assorbono; diventano onda e luce, onde di luce, riflessi sul mare. Vibrazioni delle onde. Biancheggiamenti. (Un ramarro guardingo e in agguato che dalla preistoria proviene e alla preistoria ritorna).  Sono decenni che Antonio Chiarello interroga questi paesaggi, e ogni volta gli ritornano risposte diverse, ogni volta il blu cobalto, le sbrecciature di torre, la pietraia intorno alla torre, rispondono con racconti diversi. La Storia non dice mai la stessa cosa, perché quello che dice dipende dalla prospettiva che assume colui che ascolta la narrazione, che a volte si realizza con parole, a volte con rumore, a volte con il silenzio che è la narrazione più sincera. Così il racconto si dispiega lungo l’orizzonte, lungo la linea dell’immaginazione che confonde i colori del cielo con quelli del mare. Antonio Chiarello ascolta la narrazione e la trasforma in pittura che diventa espressione di un sentimento di appartenenza a questa terra, a questi paesaggi, a questi orizzonti, alla pietra, al mare. 

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