Per Luigi Scorrano: la critica letteraria come umiltà e passione

di Antonio Errico
venerdì 29 Settembre 2023
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

Il livello dello studioso è altissimo, internazionale. Il livello dell’amico è stato profondissimo. Luigi Scorrano se n’è andato ieri, sul far dell’alba. Il suo paese, Tuglie, lo incontrerà oggi pomeriggio per l’ultima volta. Se si volesse necessariamente individuare una definizione, si potrebbe adottare quella di critico letterario.

Scorrano ha utilizzato magistralmente una pluralità di registri critici, a seconda delle finalità della scrittura: una scrittura che ha sempre dimostrato, anche nei lavori di natura propriamente “scientifica”, un’attenzione nei confronti di quel lettore che si dice “non addetto ai lavori”. Gigi Scorrano ha sempre considerato la critica come un ponte, una mediazione, fra il lettore di professione e il lettore comune. D’altra parte, gli è sempre piaciuto definirsi semplicemente un “lettore”. Ma è stato un lettore con una competenza tale da consentirgli un approccio alle opere a carattere intertestuale. In effetti non sono mai riuscito ad individuare a quale delle tante scuole critiche possa appartenere Scorrano. Probabilmente appartiene a quella scuola che assume a teoria “l’auscultazione” delle voci di un testo: di quelle più sommesse, sussurrate, bisbigliate. Ha fatto il critico letterario in modo coerente alla sua esistenza: con umiltà, spesso in disparte, sempre distante da ogni consorteria. Ha studiato e scritto quello che gli piaceva, come gli piaceva, senza finalizzare lo studio e la scrittura ad un obiettivo. Senza ansie, almeno apparenti. Con metodo e rigore d’artigiano. Apparivano saggi su riviste prestigiose, e lui ti passava l’estratto, come se niente fosse. Gli studi sulla presenza di Dante nel Novecento, credo proprio che li abbia inventati lui.   

Tra le pagine dei libri, Gigi Scorrano si muoveva con leggerezza pur con l’istinto naturale alla filologia. Raccontava l’opera attraverso i nuclei tematico- semantici essenziali, sciogliendoli e sviluppandoli in una narrazione critica che contemperava la Storia e le storie, rilevandone la loro prossimità e l’interdipendenza.

Ha fatto il critico adottando il metodo più antico: l’unico metodo che non può fallire, quello che garantisce una riuscita sicura, che protegge dall’avvicendarsi delle teorie, dei modelli, delle mode: leggere e rileggere uno stesso libro, uno stesso passo, una frase, una parola, fino a quando non si rintraccia il senso che nella trama dei segni aderisce, combacia, si impasta ad altri sensi. La scrittura critica di Gigi Scorrano ha una precisione geometrica. Si compone di continui rimandi interni, interconnessioni, proiezioni verso altri testi e contesti culturali. La puntualità, l’esattezza del discorso critico è integrata da una chiarezza – da un nitore – di linguaggio, una linearità di esposizione, distanti da qualsiasi convenzione e formalismo. Gigi sapeva bene che lo sguardo del critico, se vuole essere acuto, non può abbracciare l’intero schermo del testo. Deve necessariamente mettere a fuoco un punto, scomporre in particolari, studiare la tessera, staccandosene ogni tanto per osservare l’insieme del mosaico e verificare la coerenza del lavoro. Perché, si sa, la tessera ha ragione e funzione in rapporto al contesto del mosaico e il mosaico esiste in quanto una serie di tessere contribuiscono a comporlo.

Gigi Scorrano analizzava al microscopio, rintracciava analogie e connessioni, scavava, individuava significati portanti – o comunque consistenti – in situazioni a volte apparentemente marginali, scrutava le articolazioni testuali, anche quelle che potrebbero sembrare di scarso rilievo, annotava a margine, commentava.   

Un lavoro (un lavorio) minuzioso, meticoloso, fatto di scuci e cuci, e con ago e filo corto. Con passione.So bene come lavorava Gigi Scorrano in quella sua biblioteca, scrupolosamente, incredibilmente ordinata, con gli ultimi arrivi appoggiati sul tavolino del salotto. Ho avuto il privilegio d’esserne stato amico per quarantacinque anni.

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