Letteratur (e) Rerum vulgarium fragmenta 7. Quando sognare da soli non basta

di Antonio Errico
mercoledì 11 Gennaio 2023
 – iuncturae.eu

Durante una conversazione tra Edoardo Albinati e Walter Siti, alla domanda su “perché la letteratura?”, Siti risponde così: “per la stessa ragione per la quale si sogna”, riferendosi al sognare come necessità fisiologica. Poi dice: quando uno viene tenuto sveglio molto a lungo, deperisce non tanto perché non dorme ma perché non sogna.

Forse ci si potrebbe domandare se questo tempo ha fisiologicamente bisogno di sogni: di sogni soggettivi e di sogni collettivi; se il sogno di tutti e di ciascuno può determinare il progresso della nostra condizione di umani.

Forse si potrebbe considerare che vengono tempi e si giunge a certi punti in cui il sogno soggettivo non è più sufficiente, che si ha bisogno di sogni da fare in comune. Allora inevitabilmente ci si chiede di quali sogni da fare in comune si ha bisogno. Una risposta immediata, soltanto appena pensata, non elaborata, non concettualizzata, potrebbe essere che si ha bisogno di un sogno di progresso: forse di un progresso diverso da quello al quale abbiamo sempre pensato, che abbiamo conquistato – con fatica, con molta fatica – al quale ci siamo abituati e non avremmo dovuto abituarci perché il progresso non si deve mai dare per scontato. Poi, seguendo il dipanarsi delle domande ci si dovrebbe chiedere in che senso, in che misura, per quale motivo la letteratura può contribuire, significativamente, a generare e a conformare quel sogno collettivo, quello che recepisce e rielabora i sogni di ciascuno.

Probabilmente, questa domanda costituisce la linea di confine, il nodo da sciogliere, perché inevitabilmente ne accende un’altra anche più complicata che si può formulare così: ma davvero la letteratura, il prodotto di una finzione, la proiezione di una fantasia, la combinazione di realtà e di immaginazione, può contribuire alla formazione di un nuovo concetto di progresso, alla sua realizzazione? Semplicisticamente, le risposte possono essere due. La prima: non può. La letteratura non ha mai predisposto e determinato un agio. Al contrario, ha sempre creato disagio. La letteratura esiste per mettere a disagio, per far mancare la terra sotto i piedi, per insinuare dubbi, scombussolare certezze, per mettere in crisi, confondere, depistare.

La seconda risposta è che sì, la letteratura può diventare strumento per la ricerca di un progresso che sia coerente con i tempi, che risponda alle esigenze e a volte anche alle pretese dei mutamenti culturali, economici, sociali. La letteratura esiste per generare crisi che a loro volta, se governate sapientemente, generano progresso. 

Allora forse si potrebbe dire che la letteratura può rappresentare i sogni collettivi di progresso anche quando racconta le crisi della civiltà.

A pensarci rapidamente, senza soffermarsi a riflettere, si potrebbe anche sostenere che, per esempio, tutta la letteratura europea dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, non ha fatto altro che raccontare la crisi profonda di una civiltà figurando le possibili condizioni di un progresso.

Quelli che viviamo sono tempi di crisi costante, strutturale: crisi della ragione, dei sentimenti, della conoscenza, dell’esperienza, dei sistemi, dei criteri, dei modelli, di quelli che si chiamano i valori, di quelli che si considerano riferimenti.

Allora, senza neppure il minimo accenno all’antica questione della funzione sociale della letteratura, viene spontaneo sostenere che, forse mai come in questo tempo, la letteratura si carica di una funzione essenziale per l’elaborazione di una condizione esistenziale nuova.

Forse questo tempo ha bisogno della letteratura più di quanto ne abbiano avuta i tempi passati. Non perché abbia un maggiore bisogno di sogni, ma perché ha bisogno di strumenti capaci di attribuire ai sogni dei tempi passati significati nuovi da combinare ed armonizzare con sogni che prima non sono mai stati sognati.Il compito e il destino della letteratura consistono nel creare metafore. Forse si potrebbe dire che ogni metafora è, sostanzialmente, la rappresentazione del sogno di una trasformazione. Un pensare di andare oltre l’esistente. Un immaginare significati nuovi. Sono molti, moltissimi, innumerevoli forse, i sintomi sociali e culturali che esprimono il desiderio ansioso che ha questo nostro tempo di trasformarsi più di quanto costantemente si trasforma, di proiettarsi in un sistema di significati nuovi o comunque rinnovati, ricomposti, rifondati, rigenerati, riconfigurati. Sono moltissimi i segni che riferiscono il bisogno di fare sogni nuovi. Ecco, allora, che forse il conto torna: se la ragione della letteratura è quella stessa per la quale si sogna, di conseguenza si ha bisogno di una nuova letteratura che racconti sogni nuovi ai quali riferirsi, nei quali riconoscersi, ai quali affidarsi. Certo, ognuno sogna per se stesso; è normale che sia così. La letteratura sogna per conto di tutti. Fino a questo punto è stato così. Si spera che continui ad essere com’è stato.

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