Ci sono quelli che ci credono ancora. Non hanno saputo smettere, non hanno voluto. Ci sono quelli che li aspettano ancora, fingendo di dormire, tendendo l’orecchio a un rumore complice, sottile, a un fruscio che viene dal camino, a un passo leggero che sale dalle scale e poi ridiscende, guardingo, sornione. Ci sono quelli che continuano a scrivere a Babbo Natale, alla Befana, e poi nascondono la lettera sotto il cuscino, per proteggerla dal mondo, dal vento degli anni che spazza via tante cose ma non i desideri, non gli incantesimi, le fantasie delicate, le dolcezze profonde, le speranze salvate dalle macerie che accumula la vita. Ci sono quelli che non domandano niente: non più cavalli a dondolo, soldatini di stagno, trenini di legno, i fortini con gli Apache, le bambole che camminano, ridono, piangono, la gonna nuova, le scarpe con i tacchi, il pacco di quaderni, i pastelli di tanti colori, duecento lire di figurine con i calciatori.
Ci sono quelli ricordano ancora quella poesia di Marino Moretti imparata a memoria all’elementare, che aveva dei versi che facevano così: “A tutti il vecchio dalla barba bianca/ porta qualcosa, qualche bella cosa/ e cammina e cammina senza posa/ e cammina e cammina e non si stanca.”
Quando si è bambini non si capisce bene chi sia davvero Babbo Natale, chi sia veramente la Befana. Lo si capisce dopo: un po’ di tempo dopo: quando s’induriscono le ossa, quando passa acqua quieta o impetuosa sotto i ponti.
Un po’ di tempo dopo si capisce che quel vecchio con la barba bianca che cammina e cammina e non si stanca, che quella vecchina chiamata Befana, sono la speranza che i desideri di ciascuno, che quelli di tutti, si possano realizzare. Babbo Natale e la Befana sono le figure della speranza che non si stanca. Più si diventa grandi e più si crede che Babbo Natale esista veramente, che esista veramente la Befana. Non si può fare a meno di credere. Non si può smettere di credere. Soprattutto se i desideri non sono banali. Soprattutto se non sono capricciosi.
Babbo Natale e la Befana sono la profondità del sogno, l’intimità di un desiderio, lo stupore sincero per le cose che non sono, che vorremmo che fossero, sono quello che non abbiamo e che vorremmo avere, quello che non siamo e che immaginiamo di essere: per un giorno, per una volta sola, per un istante solo.
Sono lo sprofondamento nell’infanzia, la lusinga dell’attesa, la bellezza dell’incognita, dell’incomprensibile, dell’inatteso, sono un sentimento sospeso tra la notte e il giorno, tra oggi e domani, tra un inizio e una fine. Sono la nostra fortunata ostinazione a restare bambini oltre il tempo che è concesso al bambino, al di là dell’illusione, dell’immaginazione innocente, della rivelazione dei segreti del tempo e della crescita, delle verità che il mondo custodisce.
Forse a Babbo Natale e alla Befana i bambini non ci credono più. Ci credono, invece, i bambini cresciuti, quelli che hanno i capelli bianchi o che li hanno perduti. Ci credono le bambine anche loro cresciute, che truccano l’abitudine grigia dei giorni con il fondotinta pastoso, che camuffano la malinconia degli occhi sotto il mascara grumoso, che si guardano allo specchio e si stupiscono della ruga che solo ieri non c’era. Ci credono quelli che sono rimasti innocenti, che non si sono fatti fregare dal pragmatismo, dal qualunquismo, da carriere rampanti, che sono poeti senza scrivere poesie, che raccontano storie tanto per raccontare, che sono contadini senza saper coltivare, che sono pittori con i colori di idee, che fanno i giostrai di giostre in disuso, che si fermano a pregare nelle chiese di campagna, dove crepita ancora per devozione una lampada ad olio. Ci credono quelli che sanno aspettare. Ora sono loro che credono a Babbo Natale, alla Befana, che si tengono dentro quelle creature favolose, quei miti dell’infanzia che portano meraviglie. Perché vogliono i doni della memoria, quei ricordi dolceamari come una madeleine di Proust.
Loro sono rimasti così, svagati e sapienti come tutti i bambini, ingenui, creduloni, ostinatamente incoscienti, che si ripassano a memoria le scene nei cortili, con le ginocchia sbucciate e l’idolatria del pallone, e allora come in un film tutti i personaggi ritornano, tutti i paesaggi si ricompongono, il passato riprende a parlare, il presente disegna ancora illusioni, il futuro prende un po’ di chiarore. Così Babbo Natale e la Befana conformano il destino, cancellano gli errori; fanno meno brucianti le delusioni, fanno meno acre la nostalgia.
Sono questi i doni che porta Babbo Natale, che porta la Befana, a tutti quelli che ci credono ancora.Non c’è bisogno di appendere la calza, non c’è bisogno di scrivere l’indirizzo. Loro conoscono i nomi, uno per uno, conoscono le strade, i vichi, le case. Loro sanno anche che non riusciranno a sorprendere nel sonno quei bambini, perché quei bambini sono scaltri, fanno finta di dormire, per poi spalancare gli occhi all’improvviso per regalarsi con una tenerezza stupefatta il dono straordinario di un sorriso.