Eroe del tempo lungo, del sovratempo, della leggerezza, dell’immaginario, della fantasia, del trasognamento, si presentava sulla scena nel mese di giugno, quand’era appena finita la scuola, quando era già estate piena, in quel meriggiare montaliano pallido e assorto, insieme ad altri eroi: Tex Willer, Capitan Miki, Blek Macigno. Però lui era diverso: completamente diverso. Quelli erano eroi epici, senza macchia e senza paura, combattevano ogni sorta di battaglia, vincevano con ogni portento di nemico. Lui era un eroe da giardino. Povero. Dimesso. Uno di quegli eroi con cui si può parlare come si parla a un amico; uno di quegli eroi abituati alle sconfitte, alle molte sconfitte, che si entusiasmano per poche, piccole, domestiche vittorie. Che forse sono eroi proprio per questo, perché vincono battaglie quotidiane, quelle che servono per la sopravvivenza.
Si potrebbe definire un antieroe. Sarebbe più logico definirlo un antieroe. Ma eroe da giardino appare più coerente, per il fatto che nel suo mondo gli eroi non esistono, per cui non c’è un modello con il quale fare il confronto.
Paolino Paperino, nato il 9 giugno del 1934 nel cortometraggio “La gallinella saggia”, tra pochi giorni compirà novant’anni. Ma per lui gli anni non sono mai passati, e quando ci capita in mano una sua storia, gli anni non sono mai passati nemmeno per noi.
Paperino è un eroe che va a cercarsi la sfortuna, impaziente, un po’ nevrotico, con i nipoti Qui, Quo, Qua che lo disperano e lo consolano. Attratto dalle situazioni complicate, abilissimo nel trovare soluzioni, spesso senza sapere nemmeno come, senza sapere nemmeno cosa farne, in costante conflitto con il mondo, con tutto quello e tutti quelli che gli stanno intorno, o semplicemente con qualcosa che non funziona: il lavandino che sgocciola e gli impedisce il riposino, la macchina che si guasta. Succede tutto a lui. Per esempio: Paperino trasforma il suo giardino in un’oasi perfetta; si organizza con l’amaca, una camicia hawaiana, i panini, le bibite ghiacciate, un vecchio ventilatore che simula la brezza, un paesaggio esotico come fondale di scena. La sua vacanza è questa, tranquilla, serena. Ma una nuvola si aggira minacciosa nello spazio di cielo sopra la sua testa. Una nuvola sola: sopra la sua testa.
Così Paperino trascorre le vacanze nel suo giardino applicando un metodo che in qualche modo si può ricondurre a monsieur Francois- Marie Arouet, detto Voltaire, il quale fa concludere a Candido il suo conte philosophique con questa frase: il faut cultiver notre jardin. Bisogna coltivare il nostro giardino. Si può coltivare dunque il proprio giardino tirandolo a lucido e se non si ha un giardino da far scintillare, certamente potranno brillare le maniglie delle porte, i vetri delle finestre, la carrozzeria dell’auto che da tempo immemorabile aspetta un pietoso lavaggio. A pensarci bene, Paperino è l’unico personaggio dei fumetti (almeno di quelli che conoscono coloro che sono cresciuti a fumetti e pane e pomodoro) che ci rassomiglia. È umano, troppo umano. Deve affrontare la vita di ogni giorno con tutte le sue incertezze, le trappole, gli imprevisti, e ogni giorno si stupisce, si arrabbia, si addolcisce, è tenero, insicuro, determinato, fantasioso, a volte si scoraggia, a volte si entusiasma, non gli riesce mai nessun programma, e allora si affida al caso perché sa bene, lui così inconsapevolmente saggio, che è il caso a governare il mondo, e che a nulla serve tentare di mutare il modo in cui devono andare le cose.
Ma nonostante la sua saggezza – oppure proprio per la sua saggezza? – Paperino è un grande sognatore: non si stanca mai di sognare ad occhi chiusi o aperti. Sogna il mondo come lo vorrebbe, se lo disegna, se lo costruisce, e lo abita, incantato, finchè non sopraggiunge il trambusto che lo sveglia anche se non sta dormendo, finchè zio Paperone o i nipoti o le urla del vicino non lo riportano con le zampe arancioni sulla terra.Sa che è così che va la vita, Paperino. Sa che si sogna e ci si sveglia e che appena si può si ritorna a sognare perché è il sogno che dà la forza di stare svegli e di confrontarsi con tutto quello che accade a te stesso, agli altri. Esattamente come lo sa ciascuno di noi.