I Quasi adatti, perché leggerlo può cambiare la nostra vita

di Antonio Errico
domenica 6 Luglio 2025

Molti conoscono Il senso di Smilla per la neve di Peter Hoeg, quantomeno per la versione cinematografica che ne ha fatto Bille August nel 1997. Ma probabilmente non sono in tanti, o forse sono davvero pochi ( e spero di sbagliarmi), quelli che hanno letto “I quasi adatti”. Un capolavoro. “I quasi adatti”  è un romanzo sul tempo: sulle sue espressioni e sulle sue contraddizioni, come quella principale, strutturale, del tempo lineare e del tempo circolare.

Il tempo lineare – dice Hoeg- deve essere immaginato come una lama infinitamente grande che sbuccia l’universo e contemporaneamente lo trascina con sé, lasciandosi dietro una striscia di passato infinitamente larga, con davanti il futuro, mentre il presente è il filo della lama.

Per il tempo circolare, invece, il mondo rimane più o meno lo stesso. Le mutazioni intorno a noi sono, o generano, ripetizioni. Poi aggiunge: “Il tempo è anche qualcosa che contribuiamo costantemente a creare. Come un’opera d’arte”.

Noi siamo, dunque, artefici e artisti del nostro tempo. O almeno un poco ci illudiamo di poterlo essere. Forse non c’è un solo istante in cui non si pensi al tempo. Quando sembra che si stia pensando ad altro, lo si pensa in funzione del tempo. Perché, in fondo, siamo un impasto di tempo: con esso ci confrontiamo, ad esso dobbiamo dare conto di quello che facciamo o non facciamo, di quello che siamo, che non siamo, che vorremmo essere, oppure non essere.  

Si pensa il tempo passato in ragione di quello che ci ha dato, della felicità o dell’infelicità che abbiamo provato, dell’amore che abbiamo donato e ci è stato donato, delle illusioni e delle delusioni, dei dolori e dei rimpianti, della bellezza della semplicità di pensieri sguardi gesti parole silenzi, della bruttezza dell’artificiosità,  di ipocrisie falsità finzioni furbizie malizie, della profondità o della superficialità della nostra memoria.

Probabilmente il passato è la dimensione di tempo che più di ogni altra ci appartiene e alla quale apparteniamo, l’unica sulla quale è possibile riflettere, con la quale ci si ritrova inevitabilmente a confrontarsi.

Il passato è l’unica certezza, in quanto immutabile.

Il presente passa rapidamente, talvolta anche impercettibilmente, nella nostra mente, nei nostri occhi: così rapidamente che spesso non si ha modo di ragionare sulle scelte, sulle occasioni, sugli accadimenti. E’ come un giro di giostra che si conclude sul più bello oppure quando ci si sente stravolti dalla vertigine.

Il futuro non ci appartiene. E’ una dimensione immaginaria, un’ipotesi vaga, un’illusione necessaria, la figurazione dell’ombra del nostro esistere che si proietta nel tempo del non ancora.  Eppure si vive elaborando progetti, quindi collocandosi costantemente in quella dimensione immaginaria, cercando di predisporre elementi che possano realizzare le ipotesi che formuliamo quasi come un tentativo di sottrarre il tempo al completo assoggettamento del caso, ad una combinazione di elementi e situazioni che non siamo in grado di decifrare, a coincidenze e a congiunture che non sappiamo comprendere perché non possiamo. Allora si tenta –a volte disperatamente- di governare il tempo attraverso una classificazione, una suddivisione in millenni secoli anni mesi giorni ore minuti. Si inventano sistemi per misurarlo o più esattamente per illudersi di tenerlo sotto controllo: calendari, agende, orologi: abbiamo orologi dappertutto, in casa, al polso, sul cellulare, al computer, sul cruscotto dell’auto, rappresentazioni più o meno consapevoli del nostro senso di precarietà, di finitezza, di provvisorietà, di insicurezza, caducità. 

Ci sono libri che quando uno ha finito di leggerli si ritrova esattamente com’era quando ha cominciato. Si chiamano libri inutili (perché esistono anche i libri inutili). Ce ne sono altri che pagina dopo pagina, cambiano il tuo modo di pensare il mondo, l’esistenza, la Storia, le storie, di pensare gli altri, se stessi, il sentimento nei confronti della felicità, del dolore, del destino, il senso che ha la tenerezza, il languore della commozione. Sono libri che si aprono uno spazio nella memoria profonda, e rimangono lì per molto tempo, a volte per sempre. Si chiamano libri essenziali. Ecco. “I quasi adatti” è un libro essenziale.

Scoprire chi sono i quasi adatti, perché si chiamano così, qual è il luogo della narrazione, la trama e l’intreccio del racconto, è un compito che si lascia al lettore. Ne sarà entusiasta.

“Nuovo Quotidiano di Puglia”

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