“Finibusterre” come chiave per descrivere il ‘900 salentino

di Antonio Errico
giovedì 13 Marzo 2025
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

Allora accade che, gradualmente, negli esiti della narrativa salentina letterariamente più maturi e significativi, il Salento non è altro che un luogo elaborato attraverso una combinazione di elementi dell’antropologia culturale con la tensione alla mitologizzazione della terra.

La narrativa del Novecento salentino comincia nelle ultime pagine di Finibusterre di Luigi Corvaglia. Con un delirio. Con lo sgretolamento del mondo sotto gli occhi dei colerosi di un lazzaretto. Comincia con un’apocalisse, la furia di un castigo divino silenzioso e totale, con un corpo a corpo stremato e finale tra la vita e la morte, tra un passato concluso e un presente svuotato di ogni orizzonte e possibilità.
La narrativa del Novecento salentino comincia con la fine di un’idea di Salento, un’immagine, una tradizione, un tessuto valoriale, un sistema simbolico-culturale. Un mito. (Resta fondamentale per la lettura di questo romanzo, l’introduzione di Donato Valli all’edizione Congedo del 1981). Quando un servitore chiede a Pietro quale nome s’ha da mettere sul tumulo dell’uomo trovato riverso sui gradini del sagrato, Pietro risponde: Dòmine. E poi: il cantore che resuscitava il canto. E poi: del Capo morto.
Il Capo di Leuca: morto, dunque. Ma il Capo di Leuca muore definitivamente, essenzialmente, dopo poche righe, dentro gli occhi vorticanti di delirio dello stesso Pietro aggredito dal morbo, nel suo vomito, nella sua nausea, nei suoi dolori che espellono scene di passato mischiandole con le visioni del delirio, nello spasimo e nelle ombre di vivi e di morti che gli accerchiano la mente, nel torbido rimescolamento di memorie e allucinazioni, nella concreta sensazione di morte che lo attraversa e lo stravolge. Ma non lo vince. Perché la sopravvivenza di Pietro è funzionale alla dimostrazione della fine del Capo. Pietro sopravvive in un mondo ridotto a maceria, irriconoscibile.
Di questo si fa metafora il paesaggio: l’uliveto come colonnato di un tempio apocalittico.
Composto tra il ‘29 e il ‘31, e pubblicato nel ‘36, romanzo salentino per definizione dell’autore, enciclopedia del Salento per definizione di Tommaso Fiore, Finibusterre cancella – definitivamente – ogni immagine mitica del Salento e vieta ogni possibilità di ricorrere a questa immagine. Dopo Finibusterre, chiunque intenda narrare il Salento può farlo solo partendo dal crollo di un immaginario culturale che avviene in questo romanzo.  Allora accade che, gradualmente, negli esiti della narrativa salentina letterariamente più maturi e significativi, il Salento non è altro che un luogo elaborato attraverso una combinazione di elementi dell’antropologia culturale con la tensione alla mitologizzazione della terra.
La scrittura narrativa sposta continuamente il Salento verso una sorta di zona franca, riparata dalle correnti degli eventi, non coinvolta dai mutamenti del secolo, immune dal contagio delle sue contraddizioni, estranea tanto allo sventolare delle bandiere delle grandi ideologie quanto dal loro avvoltolamento.
L’idea di Salento oscilla tra suggestioni del mito e interpretazioni della Storia, immaginario collettivo ed esperienza personale, modelli culturali e percorsi di scrittura, processi di costruzione di identità sociale e rispecchiamenti generazionali nelle forme di quella identità, nelle proiezioni di quelle forme, nella molteplicità di quelle fisionomie, tra la coscienza di una condizione di vivere in quella terra e una messa in scena di quella coscienza attraverso la narrazione letteraria.

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