Tra memoria e conoscenza gli universi di una civiltà

di Antonio Errico
giovedì 27 Marzo 2025
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

Nella relazione con il tempo la memoria riproduce i suoi significati, li calibra e li conforma al presente e alla contingenza storica e culturale, li carica di riverberi, di sensi ulteriori, assume una funzione consistente nel processo di evoluzione

Ci sono libri che ad ogni pagina spalancano universi di civiltà: raccontano storie di miti, di riti, di stagioni dell’esistenza che vengono e che vanno. Sono libri che mentre dicono di un passato disegnano orizzonti di futuro. Dimostrano che quello che siamo, il modo in cui siamo, probabilmente quello in cui saremo, hanno una radice profonda, una stratificazione di significati. Custodiscono memoria che si ridetermina e si rinnova e si rigenera, fa da lievito e sostanza del tempo. Diciotto anni fa Kurumuny pubblicò un libro così: che con immagini e parole spalancava universi di una civiltà: che non esiste più. Il libro è di Gianni Bosio e Clara Longhini; si intitola “1968. Una ricerca in Salento. Suoni grida canti rumori storie immagini”. Che cosa sia questo libro e da dove provenga, lo dice Luigi Chiriatti nel suo intervento: imprescindibile. Lo dice con l’appassionato rigore delle ricerche di antropologia ed etnomusicologia che ha condotto per tutta la vita. Allora. Era il Sessantotto (anno di turbolenze, di concreti e astratti furori), quando Gianni Bosio e Clara Longini vennero in vacanza a Otranto per ricercare, registrare, fotografare, documentare, verificare, raccontare quale fosse lo stato del tarantismo dopo Ernesto de Martino, che qui, in Salento c’era stato nel ‘59. Bosio e Longhini vanno in giro, cercano voci, suoni, scene. A Galatina cercano i suonatori delle tarantate. Non ne trovano. Si erano mostrati a De Martino, poi si erano ritirati, celati nelle rughe millenarie dei volti e dei luoghi del Salento, dice Chiriatti. La notte del 15 di agosto, i due ricercatori sono a Torrepaduli, alla danza delle spade che si infiamma nella festa di San Rocco. Il materiale che deriva dalla loro ricerca è costituito da canti, suoni, rumori di traini, aratri, suoni di campane, immagini di processioni, grida di venditori ambulanti, fiabe, cunti, racconti sui nachiri dei frantoi, concerti di banda, nenie. L’universo di una civiltà. Ma la loro ricerca è soprattutto la riconferma della essenzialità di una memoria: che rappresenta la condizione essenziale, indispensabile per lo sviluppo della civiltà.

La memoria è conoscenza. È profondità. La memoria e la conoscenza sono il contrario delle superficialità. Memoria e conoscenza hanno una sostanziale relazione con il tempo. Nella relazione con il tempo la memoria riproduce i suoi significati, li calibra e li conforma al presente e alla contingenza storica e culturale, li carica di riverberi, di sensi ulteriori, assume una funzione consistente nel processo di evoluzione; diventa essa stessa una finalità dell’evoluzione.

A un certo punto, prima o dopo, una civiltà si ritrova, consapevolmente o inconsapevolmente, a dover scegliere se considerare la memoria come parte integrante e rilevante del proprio percorso di evoluzione o se collocarla ai margini, considerarla senza alcun rilievo.

Nel caso in cui dovesse aderire alla prima ipotesi, non potrà fare a meno di attribuire alla memoria e alla conoscenza una valenza essenziale. Nel caso in cui dovesse scegliere di considerarla marginale, non avrà neppure i criteri, i metodi e gli strumenti di cognizione per rendersi conto che non dovrebbe nemmeno chiamarsi civiltà.

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