Perché i luoghi cambiano, e cambiano le creature che abitano quei luoghi, e la parola della letteratura si flette, si calibra, si trasforma nella tensione di rappresentare il mutamento.
Prima di essere parola, Finisterre è una visione del mondo, dell’essere, dell’esistere; è un modo di attribuire significati alla Storia, di interpretare i suoi segni, le sue stratificazioni, le coerenze, le contraddizioni. Anche le sue passioni. Anche i suoi enigmi. Prima di essere parola, Finisterre è un’espressione del destino, che quando ha motivo e movente di trasformarsi in parola, assume le forme della letteratura. Seguendo questa direzione, alcuni anni addietro ho fatto un Viaggio a Finibusterrae, pubblicato da Manni, e quello stesso viaggio ho fatto ancora in questi giorni mettendo nel bagaglio il saggio prezioso che Simone Giorgino ha intitolato La parola paesaggio con il sottotitolo di Scritture a Finisterre. Nella ricomposizione e ricostruzione della poetica del paesaggio, condotte con metodo rigoroso e sull’impianto di validate teorie, Giorgino attraversa e analizza i territori delle opere di Luigi Corvaglia, Vittorio Bodini, Rina Durante, Nicola G. De Donno, Giacinto Spagnoletti, Angelo Lippo, Pasquale Pinto, Antonio Verri, Antonio Prete, Carmelo Bene. Ad attraversamento e ad analisi conclusi, viene il pensiero che in queste scritture il paesaggio della natura sia stato assorbito nel paesaggio interiore di colui che ha scritto restituendo una configurazione di paesaggio che consiste sostanzialmente sia in quella dimensione che James Hillman definisce l’anima dei luoghi sia in quell’altra che si definisce i luoghi dell’anima. Che significa luoghi immaginari, figurazioni di paesaggi provenienti dalla memoria, dal sogno ad occhi aperti, dalla rielaborazione di nuclei concettuali, da un complesso processo di pensiero che va a determinare quel sistema simbolico- culturale chiamato paesaggio che si conforma e si rappresenta con la parola della letteratura. Sostiene significativamente Giorgino che la parola che descrive un paesaggio ma che lo interroga anche, lo metabolizza, lo (ri) crea, è un processo attraverso il quale uno spazio fisico transita in una rappresentazione letteraria, e viceversa. Un processo continuo, ininterrotto. Perché i luoghi cambiano, e cambiano le creature che abitano quei luoghi, e la parola della letteratura si flette, si calibra, si trasforma nella tensione di rappresentare il mutamento. In molte occasioni, in molte situazioni, le immagini del Salento provengono dall’universo testuale degli autori studiati da Giorgino, dalle loro sintesi sostanziali, dalle loro espressioni formali, dalle tessiture culturali, antropologiche, sociali che hanno realizzato. Non solo da questi autori, ovviamente; anche da altri che nel tempo sono stati indagati da Donato Valli, Ennio Bonea, Lucio Giannone. E’ nei poeti e nei narratori del Novecento salentino che si possono rintracciare gli elementi che definiscono la relazione strutturale tra le forme dell’espressione e le forme del pensiero, la parola e il paesaggio.
Finisterre è un’espressione poetica: una condizione culturale generata dalla letteratura, da tutta una sensibilità ermeneutica che ha trovato anche nella geografia gli elementi per trasformare la dimensione reale in dimensione fiabesca, il tempo in oltretempo, per scardinare le sue connotazioni spaziali, per prolungare Finisterre nell’immaginario, per annodare i suoi confini all’Europa e al Mediterraneo.