Mentre sto leggendo qualcosa, così, tanto per leggere qualcosa, incontro una pagina in cui la filosofa ungherese Agnes Heller dice se qualcuno dovesse chiederle, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderebbe: prima di tutto, solo cose “inutili”, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita. Il bello è che così, all’età di diciotto anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.
Questo pensiero della Heller mi riporta alla memoria un libro di Nuccio Ordine che s’intitola L’utilità dell’inutile, nel quale si dimostra con documentate argomentazioni che non è affatto vero, neanche in tempo di crisi, che l’utilità è determinata solo dalla produzione di un profitto ma che esistono saperi cosiddetti inutili che si rivelano di straordinaria utilità. Forse si potrebbe anche considerare che l’utile consista non tanto in quello che produce avere ma in quello che consente una realizzazione dell’essere. Avere o essere, si chiedeva Erich Fromm. La risposta potrebbe essere questa: “Un “Avere” deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un “Essere” ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti”.
Ecco. La bellezza. Probabilmente il nucleo della questione è tutto qui: nel senso della bellezza.
Certo, poi ciascuno di noi ha la possibilità di scegliere tra avere o essere, tra la presunta utilità del brutto o dell’indifferente e la presunta inutilità del bello o dell’appassionante.
Leggere un libro è assolutamente inutile, lo dicono in tanti. Non si è mai visto né sentito dire che la lettura di un libro porti un guadagno. Ma ci sono libri belli, a volte molto belli, che ti fanno essere diverso, migliore, da quello che sei. Se questo sia un guadagno oppure no, lo decide colui che lo legge.
Allora, fermo restando che sul tema della differenza tra conoscenze utili e conoscenze inutili – soprattutto nei processi, nei percorsi e nelle finalità della formazione- ciascuno ha le proprie idee e nessuna idea è da sottovalutare o da non tenere rispettosamente in conto, forse si potrebbe cercare una mediazione, forse si potrebbe trovare un equilibrio, armonizzare, ma con la condizione indispensabile di precisare il concetto di cose utili e inutili e di dimostrare che le cose inutili siano proprio tali. Poi sarebbe anche opportuno contemperare il concetto di utile e inutile con quello di bellezza. Perché esiste una utile bellezza delle cose inutili. Anzi, forse, probabilmente, spesso sono proprio le cose inutili a possedere una bellezza. Le altre cose sono utili, pratiche, convenienti, redditizie, vantaggiose, ma molto spesso non sono belle.
Mozart è inutile; è inutile Dante; sono inutili Caravaggio, Virgilio, Omero. Ma sono belli. E’ utile il frigorifero, la lavatrice, il ferro da stiro. Ma quasi mai sono belli. Ad un uomo, a una donna, a un bambino, serve l’utile non bello e serve il bello inutile. Servono diversamente, ma in uguale misura. Però talune volte si ha l’impressione che noi si preferisca l’utile e non si capisce per quale oscura ragione si tenda a considerare che quella inutile bellezza non ci possa dare qualcosa che abbia più valore dell’utilità. Talune volte non ci si sofferma a ragionare su qualcosa di elementare, che potrebbe essere, per esempio, il fatto che l’utile si consuma in fretta, spesso troppo in fretta. Lo strumento che era utile ieri, soltanto oggi non serve più, sostituito da qualcos’altro che risulta ancora più utile. Caravaggio, invece, era inutile ieri, è inutile oggi e lo sarà domani. Ma davanti ad una sua tela per secoli sono rimasti incantati uomini e donne di ogni cultura e di ogni età e se domani planeranno da queste parti gli extraterrestri, resteranno anche loro incantati, pur senza conoscere nulla di Caravaggio e del suo tempo e dei significati di quello che ha fatto. Non lo capiranno ma si chiederanno com’ è riuscito quel diavolo a combinare in quella maniera strabiliante le forme e i colori, come ha fatto a creare quella luce che è più vera della vera luce. Perché è una bellezza assoluta, senza tempo e, chissà, forse anche senza spazio.
Forse tra le necessità di una conoscenza delle cose utili, sarebbe necessario, dunque, anche considerare l’utilità della conoscenza della bellezza. Di quelle cose che sono fatte soltanto di parole o di forme di marmo o di colori o di note o di scene che scorrono su uno schermo, o di figure di danza. Di quelle cose che appartengono a un’arte, che provengono da una fantasia di creatura, dalla sua abilità, dalla sua tecnica, da quella che si chiama creatività e a volte genio, che hanno il loro motivo o il loro movente in un bagliore del pensiero, una pena del cuore, in una serenità, un travaglio, in un’inquietudine, un desiderio. Forse non c’è una cosa che sia più inutile della poesia di Dino Campana. Ma se non si conosce la poesia di Dino Campana, si è inevitabilmente più poveri, o comunque meno ricchi. Solo per esempio.