Luigi Scorrano. Il rigore del critico, la memoria del poeta

di Antonio Errico
venerdì 6 Giugno 2025
 – Nuovo Quotidiano di Puglia

Per memoria. Luigi (Gigi) Scorrano. Quando si è trovato a dare di sé una definizione, si è definito così: un semplice lettore. Ma lui è stato un lettore del tipo che intendeva Gianfranco Contini, uno che “ausculta” il testo per sentirne il battito interiore, il respiro profondo. Era uno che scavava il testo per disvelarne la radice. Non formulava un giudizio, non avanzava un’ipotesi, non forniva una chiave d’interpretazione se prima non ne aveva confrontato il peso e la sostanza con un’intera biblioteca, senza averlo prima analizzato e confrontato con i pilastri e le pareti di volumi su cui si reggeva la sua casa. Nell’esercizio della sua critica, Scorrano ha sempre adottato il metodo più antico: l’unico metodo che non può fallire, quello che garantisce una riuscita sicura, che protegge dall’avvicendarsi delle teorie, dei modelli, delle mode: leggere e rileggere uno stesso libro, uno stesso passo, una frase, un verso, una parola, fino a quando non si rintraccia il senso che nella trama dei segni aderisce, combacia, si impasta ad altri sensi. Gigi sapeva bene che lo sguardo del critico, se vuole essere acuto, non può abbracciare l’intero schermo del testo. Deve necessariamente mettere a fuoco un punto, scomporre in particolari, studiare la tessera, staccandosene ogni tanto per osservare l’insieme del mosaico e verificare la coerenza del lavoro. Perché, si sa, la tessera ha ragione e funzione in rapporto al co- testo del mosaico e il mosaico esiste in quanto una serie di tessere contribuiscono a comporlo. L’analisi del particolare, del dettaglio, si pone come condizione indispensabile per la comprensione dei messaggi del testo e dei suoi meccanismi di funzionamento. Gigi Scorrano analizzava al microscopio, rintracciava analogie e connessioni, scavava, individuava significati portanti – o comunque consistenti – in situazioni apparentemente marginali, a volte, scrutava le articolazioni testuali, anche quelle che potrebbero sembrare di scarso rilievo, annotava a margine, commentava. Un lavoro (un lavorio) minuzioso, meticoloso, fatto di scuci e cuci, e con ago e filo corto. So bene come lavorava Gigi Scorrano. Ho il privilegio d’esserne stato amico da quando avevo diciotto anni, imparando molto. Mi è sempre parso che non ci fosse cosa che Gigi non conoscesse. Mi è sempre parso che non ci fosse libro che lui non avesse, in quella sua biblioteca, scrupolosamente, incredibilmente ordinata, con gli ultimi arrivi appoggiati sul tavolino del salotto. Poi, quasi a margine del suo impegno critico, quasi segretamente, scorreva nel suo tempo la scrittura in versi, raccolta da Musicaos in un volume affettuosamente e rigorosamente curato da Antonio Montefusco. La poesia di Luigi Scorrano è segno del corpo, sul corpo. Insieme ad esso diviene, si assimila, si identifica. E’ una interrogazione sul senso dell’essere in quell’ora, in quel luogo, sul senso dell’essere stato, in un’altra ora, un altro luogo, con le stesse creature, con creature diverse. Ma sempre del tempo dice, dell’attraversamento dei giorni, delle ore, e dice di nostalgia, di gioie, stupori, di sogni, trasalimenti, rimpianti, emozioni. Di questo dice la poesia di Luigi Scorrano.

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